Rivista di Play Therapy N° 2_2021

rivista psicologia e play therapy dell'associazione play therapy italia

Sommario:

  1. "Definizioni in Play Therapy" di Claudio Mochi, MA, RP, APT-USA & APTI RPT-S™
  2. "I Poteri terapeutici del gioco" intervista esclusiva alla Dr.ssa Athena Drewes, PsyD, MA, RPT-S™
  3. "Child-Centered Play Therapy. La metodologia non-direttiva" di Isabella Cassina, MA, TPS, CAGS, Dottoranda
  4. "Sandtray Therapy. Introduzione agli strumenti di guarigione" di Theresa Fraser, CYC-P, CPT-S, RP, MA, RCT

Dettagli rivista:

Editore: APTI (1° maggio 2021)
Direttrice: Isabella Cassina
Distribuita da: APTI, Centro Ordinary Magic (Roma) e INA Play Therapy (Svizzera italiana)
Stampata in Italia, a colori, 24 pp
Lingua: italiano
ISSN: 2673-9151

Parole chiave:

Play Therapy
Psicologia
Poteri terapeutici del gioco
Play Therapy non-direttiva
Child-Centered
Sandtray Therapy

Leggi le sintesi degli articoli!

I testi condivisi in questa pagina sono elaborati dai soci APTI nel contesto dell'attività volontaria di diffusione della Play Therapy in Italia.

Definizioni in Play Therapy

Un articolo di Claudio Mochi, MA, RP, APT-USA & APTI RPT-S™. Sintesi di Lorenza Tiberio, Psicologa Clinica (PhD) formata in metodologie di Play Therapy.

bambino legge le definizioni in play therapy di claudio mochi per la rivista play therapy italia

La molteplicità di approcci e modelli di Play Therapy non permette di riconoscerne la paternità in un'unica figura, tuttavia il Professor Charles E. Schaefer rappresenta certamente un pilastro fondamentale nel settore del gioco utilizzato in contesti terapeutici e educativi. 

Oltre ad aver scritto più di 90 libri sul tema, assieme al suo allievo Kevin O’Connor nel 1982 Schaefer ha fondato negli Stati Uniti l’Association for Play Therapy, un’associazione che ha come scopo primario quello di tracciare la specificità del settore Play Therapy e tutelare i professionisti formati secondo determinati standard di qualità che fanno uso delle svariate metodologie. Fino ad allora, infatti, esisteva “una moltitudine di approcci interdisciplinari e modelli terapeutici, ma senza che ci fossero dei punti di riferimento chiari per la ricerca, la formazione e la pratica dei professionisti” (Mochi e Cassina, 2021, p.52).

È di Schaefer la definizione adottata oggi dall’APT degli Stati Uniti e dall’APTI secondo cui la “Play Therapy è l’uso sistematico di un modello teorico per stabilire un processo interpersonale dove un Play Therapist […] utilizza i poteri terapeutici del gioco per aiutare i clienti a […] risolvere difficoltà psicosociali […]”.

In accordo con lo stesso Schaefer, in occasione della fondazione dell’APTI nel 2009, la possibilità di utilizzare il termine italiano “terapia con (o attraverso) il gioco” per indicare la Play Therapy è stata subito esclusa perché non rappresentativa della vera essenza di questo settore. Schaefer affermava, infatti, che “la terapia non è con o attraverso il gioco, ma il gioco stesso è la terapia”. In italiano il nome di questo settore rimane pertanto invariato.

Sebbene ad oggi sia comunque possibile incontrare più definizioni autorevoli di Play Therapy, è importante notare l’elemento comune che le lega, ovvero la chiara consapevolezza delle componenti essenziali che delineano il profilo di questo specifico ambito di intervento psicoterapeutico. La Play Therapy implica:

  • un modello teorico di riferimento;
  • l’idea di gioco come espressione naturale;
  • la capacità dell’intervento di adattarsi al livello di sviluppo del bambino;
  • un ambiente di azione sicuro;
  • la centralità della relazione tra bambino e Play Therapist (professionista della salute mentale formato in metodologie di Play Therapy);
  • la finalità dell’intervento di risolvere problemi e/o favorire uno sviluppo armonioso del bambino.

Fare riferimento e promuovere una definizione corretta di Play Therapy significa determinare la sua qualità e non confonderla con altre diverse metodologie o ambiti di intervento.

I Poteri terapeutici del gioco

Intervista esclusiva alla Dr.ssa Athena Drewes, PsyD, MA, RPT-S™. Sintesi di Lorenza Tiberio, Psicologa Clinica (PhD) formata in metodologie di Play Therapy.

bambini utilizzano i poteri terapeutici del gioco con athena drewes per la rivista play therapy italia

L’intervista alla Dr.ssa Athena Drewes rivela come, grazie al Professor Charles Schaefer, il concetto di “potere terapeutico del gioco” si sia consolidato nel tempo a partire dagli anni Novanta. Benché il concetto sia utilizzato dai Play Therapist di tutto il mondo, secondo Schaefer una parte di loro appare ancora troppo concentrata sulle tecniche di gioco che favoriscono il cambiamento del comportamento e poco, invece, sui meccanismi responsabili sottostanti. Secondo il Professore, un giusto approccio al percorso terapeutico in Play Therapy e non solo, infatti, è quello che riflette su quale tipo di trattamento possa essere più efficace per il bambino, per il suo problema specifico e per la circostanza in cui questo si manifesta.

È del 1993 la prima edizione del libro "The Therapeutic Powers of Play" scritto da Schaefer e Drewes, che dopo vent’anni (nel 2014) ha visto una seconda edizione in cui l’accento era posto sul modello transteorico che i Play Therapist possono seguire per combinare al meglio i 20 agenti di cambiamento presentati nel volume. Alla base del modello transteorico vi è il concetto di “differenziale terapeutico” secondo cui ogni agente di cambiamento può essere più o meno adatto per uno specifico problema, o può essere utilizzato insieme ad altri agenti per realizzare il trattamento migliore per il cliente. Il volume, per il quale si ipotizza l’arrivo di una terza edizione, ha l’obiettivo di dare consapevolezza ai clinici, di favorire un approccio prescrittivo ed integrativo e di promuovere un’educazione pubblica a favore di una Play Therapy di qualità.

Nell’intervista la Dr.ssa Drewes chiarisce, inoltre, come un Play Therapist non è banalmente colui che “utilizza un gioco da tavolo in terapia”, quanto un professionista formato inserito nello spazio privato del bambino, in grado di ascoltare e osservare, interpretare e riflettere. Il Play Therapist deve essere flessibile, posizionarsi al livello del bambino, non deve comprendere le cose con gli occhi di un adulto ma con quelli di chi, attraverso il gioco, sa trovare il modo giusto per guidare il cliente verso un processo di cambiamento.

Chi scrive (Lorenza Tiberio), condivide pienamente l’invito della Dr.ssa Drewes alla supervisione con formatori esperti in Play Therapy e alla condivisione tra colleghi. Quando ci si trova a fronteggiare pregiudizi e blocchi mentali, infatti, la condivisione diventa la chiave di volta. Aiuta a superare gli ostacoli e ad abbattere i muri, inevitabilmente alti, che fanno parte del percorso di crescita e mutamento non solo professionale ma anche personale.

Child-Centered Play Therapy. La metodologia non-direttiva

Un articolo di Isabella Cassina, MA, TPS, PhD Candidate. Sintesi di Antonio Di Pofi, Logopedista e Therapeutic Play Practitioner (TPP).

La Child-Centered Play Therapy (CCPT) è un modello di Play Therapy non-direttivo ed è attualmente il più utilizzato dai Play Therapist; può vantare, inoltre, il maggior numero di ricerche in questo settore, caratteristica che conferma la sua profonda efficacia e che lo rende uno dei più solidi dal punto di vista scientifico.

Come evidenziato da Cassina nell’articolo, la Child-Centered Play Therapy si dimostra estremamente valida per un’ampia varietà di situazioni e problematiche dell’età evolutiva (tra cui ansia, depressione, isolamento, ADHD, aggressività) e viene utilizzata a scopi preventivi, psicoeducativi e terapeutici.

Il professionista dell’età evolutiva, adeguatamente formato in questa metodologia di Play Therapy, utilizza quattro abilità fondamentali all’interno della stanza dei giochi: strutturazione (confini di tempo e spazio), ascolto empatico (per veicolare accettazione, comprensione, ascolto ed attenzione), gioco immaginario (coinvolgersi nel gioco seguendo temi e copioni proposti dal bambino) e limiti (per garantire sicurezza e aderenza alla realtà).

Queste abilità relazionali, congiunte ai poteri terapeutici del gioco, contribuiscono a creare le condizioni ambientali ottimali ed indispensabili affinché il cliente sperimenti un livello di sicurezza tale da poter esplorare e manifestare se stesso nei tempi e nei modi che ritiene opportuni. Nella Child-Centered Play Therapy, infatti, “il bambino indica la strada” (Van Fleet et al. 2010). In virtù di ciò, il cliente ha la possibilità di sperimentare padronanza e competenza, soddisfare bisogni emotivi ed affettivi, rinforzare ed apprendere abilità, esplorare nuove soluzioni, elaborare e risolvere esperienze emotivamente difficili.

I genitori (o caregivers) rivestono un ruolo fondamentale nel percorso e vengono informati settimanalmente circa temi di gioco e bisogni espressi dal bambino; se possibile, vengono anche opportunamente coinvolti con finalità psicoeducative in momenti di riflessione, osservazione ed apprendimento di abilità coerenti con il modello di Play Therapy utilizzato.

Per i suoi solidi principi e la sua struttura, la Child-Centered Play Therapy fornisce un concentrato di esperienze protettive e riparative che promuovono il benessere e lo sviluppo ottimale dei bambini e rappresenta per il professionista una preziosa risorsa per coinvolgere i clienti in modo efficace, giocoso, accettante e per innescare processi positivi significativi e duraturi.

Sandtray Therapy. Introduzione agli strumenti di guarigione

Un articolo di Theresa Fraser, CYC-P, CPT-S, RP, MA, RCT. Sintesi di Viviana Vasto, Psicologa-Psicoterapeuta formata in metodologie di Play Therapy.

un bambino fa la sandtray therapy articolo di theresa fraser per la rivista play therapy italia

La Sandtray Therapy è una metodologia terapeutica di tipo espressivo-proiettivo che è parte del settore Play Therapy ed è utilizzata con clienti di tutte le fasce d’età. Nasce dall’intuizione della psichiatra infantile Margaret Lowenfeld che nel 1928 iniziò a trattare i bambini utilizzando un vassoio contenente sabbia (sandtray) e delle miniature. Tale intuizione si concretizzò in un vero e proprio intervento terapeutico dal quale, successivamente, presero spunto altri autori dando origine a differenti approcci di orientamento Sandtray e Sandplay.

Questa metodologia di Play Therapy permette al cliente di entrare in contatto con le parti più profonde di sé, a prenderne maggiore consapevolezza e ad attivare un processo di elaborazione e superamento delle difficoltà. La Sandtray Therapy prevede l’utilizzo di un vassoio di circa 60x75 cm e 8-10 cm di profondità contenente della sabbia il cui interno è dipinto di blu ed impermeabilizzato, dando così la possibilità di aggiungere dell’acqua.

La scelta delle miniature da parte del cliente durante le sessioni di Sandtray Therapy è di estrema importanza in quanto esse rappresentano “immagini” ed “esseri” sui quali egli proietta parti di se stesso, ricordi, esperienze, scene di vita, desideri e aspettative. Per tale motivo, il professionista formato in questa metodologia di Play Therapy deve avere a disposizione numerose e diverse tipologie di oggetti che siano rappresentative delle molteplici culture, fedi, popolazioni, mestieri, ruoli sociali, ecc.

Il terapeuta stesso ha bisogno di prendere confidenza con il potere simbolico di questi personaggi e oggetti ed è pertanto rilevante che sperimenti la costruzione dei mondi nei vassoi durante e a seguito della formazione in Play Therapy. Se durante una sessione di Sandtray Therapy dovesse accadere che le miniature si danneggiano, questi stessi elementi potranno essere mantenuti in quanto possono rappresentare qualcosa di differente rispetto a prima. Le miniature nel sandtray, infatti, non sono solo “oggetti” ma assumono diverso significato a seconda delle proiezioni che la persona attribuisce loro.

Nella mia (Viviana Vasto) personale esperienza di utilizzo della metodologia Sandtray Therapy, ho conferma che il processo di elaborazione inizia con la scelta di determinate miniature e simboli e la costruzione spontanea di una rappresentazione nel vassoio. La sua successiva narrazione e l’osservazione della scena realizzata da diverse prospettive apre la porta a nuove riflessioni e ad una maggiore consapevolezza di sé.

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MISSIONE

L'Associazione Play Therapy Italia APTI è stata fondata nel 2009 e si occupa in particolare di psicologia e psicoterapia dell'età evolutiva. L'APTI promuove il valore del gioco, diffonde la conoscenza e la pratica della Play Therapy e del Therapeutic Play/Gioco Terapeutico, conferisce credenziali ai professionisti per aiutare i consumatori ad identificare coloro con formazione ed esperienza specializzata, approva Enti di formazione continua in Play Therapy in Italia e nella Svizzera italiana che seguono e promuovono determinati criteri di qualità e professionalità condivisi dall’APT degli Stati Uniti. L'APTI pubblica la Rivista di Play Therapy© ed è Membro di Direzione dell'International Consortium of Play Therapy Associations IC-PTA (ic-pta.com).

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